Napoli-New York (drammatico; regia di Gabriele Salvatores; con Pierfrancesco Favino, Dea Lanzaro, Antonio Guerra, Omar Benson Miller; durata: 124 minuti; distribuito da 01 Distribution)

Un film per il quale vale decisamente la pena preferire alla poltrona di casa quella delle sale cinematografiche. Il significato ultimo è racchiuso nella convincente conclusione che le scelte di cuore vincono sempre sulle scelte di comodo: per quanto rendano la vita più complicata, esse ne danno profondo valore e un senso autentico. Due piccoli attori da Oscar che snocciolano una dizione napoletana perfetta e manifestano una forza espressiva sorprendente, eccellenti interpretazioni di protagonisti, comprimari e persino comparse (bellissimo il cameo di Adele Pandolfi). Ricostruzioni suggestive dello scenario post-bellico nel pieno dell’abbacinante sogno americano (l’inquadratura della bimba triste per la perdita di Carmeniello sotto il manifesto "Happy Kids" è fortemente significativa). Coraggiosissima la scelta di non sottotitolare il napoletano, come a dire: è un patrimonio della cultura italiana e bisogna sforzarsi di comprenderlo.



Berlinguer - La grande ambizione (biografico; regia di Andrea Segre; con Elio Germano, Stefano Abbati, Francesco Acquaroli, Fabio Bussotti, Paolo Calabresi: durata: 122 minuti; distribuito da Lucky Red)


Il film esalta la statura morale di un uomo che imprime una corposa svolta progressista al PCI, un uomo che, nell’ottica di una pragmatica Realpolitik, rivendica con coraggio una posizione indipendente, smarcandosi gradualmente dalla sudditanza nei confronti di Mosca, senza per questo arrivare ad abbracciare la causa americana (pur non mettendo in discussione l’ombrello protettivo dell’Alleanza Atlantica). Con Berlinguer, Moro e altri, emergono ritratti di uomini politici con la cui scomparsa si sarebbe aperto, quasi inevitabilmente, uno iato insanabile, in quanto dotati di una integrità, di un carisma e di uno spessore inarrivabile. Forse un po’ troppo accentuata l’attenzione del regista sul compromesso storico, a scapito di altri aspetti ideologici, umani e finanche emotivi dell’azione politica di un uomo al quale si sentì di rendere omaggio persino Giorgio Almirante. Convincente l’interpretazione di Elio Germano, pur nella marcata forzatura dell’accento sardo.



Parthenope (drammatico; regia di Paolo Sorrentino; con Celeste Della Porta, Stefania Sandrelli, Gary Oldman, Silvio Orlando, Luisa Ranieri; durata: 136 minuti; distribuito da PiperFilm).


Non all'altezza delle aspettative, in quanto alimenta, probabilmente in buona fede, quei luoghi comuni su Napoli che nelle intenzioni vorrebbe scardinare. Rappresentazione alquanto grottesca di personaggi reali, non del tutto rispettosa del vero (perché poi usare pseudonimi quando le allusioni sono esplicite?), nonché di personaggi di fantasia. Il senso ultimo rischia di ridursi a questa conclusione: i conflitti interiori e i sensi di colpa, nati in un determinato contesto, sono insanabili e inguaribili, pertanto è meglio evitare di affrontarli di petto e vivere in un’altra città. L’attrice protagonista non convince. La durata oltre le due ore appesantisce il tutto, come pure il brano struggente ossessivamente ripetuto di Cocciante. Spicca comunque – va detto – l'interpretazione della Sandrelli.