Il sacrificio di Carlo Legrottaglie e il successivo arresto dei criminali, autori dell'aggressione nella quale ha perso la vita il collega, hanno sollevato di nuovo le polemiche quando i Poliziotti che hanno scovato i responsabili dell'omicidio hanno dovuto far fronte a un conflitto a fuoco che ha provocato la morte di uno degli assassini del nostro Brigadiere; polemiche nate dopo l'iscrizione nel registro degli indagati degli agenti di Polizia per omicidio colposo (secondo quanto si legge negli articoli di stampa).

 

Al di là delle sterili strumentalizzazioni politiche che non aiutano la serenità necessaria per svolgere le giuste indagini su quanto successo né la tranquillità delle Forze dell'Ordine, è il caso di analizzare i fatti sotto un profilo sindacale, per studiare insieme in quale modo risolvere la questione del cosiddetto “atto dovuto” e fornire un aiuto reale agli Operatori delle Forze di Polizia, stanche delle ipocrisie e delle interpretazioni banali che avvelenano gli ambienti di lavoro.

 

Innanzi tutto è bene fare chiarezza: l'inflazionato termine "atto dovuto" nel codice di procedura penale non esiste, è una delle tante frasi ad effetto usate dai media, magari anche noi dovremmo non farci influenzare da questa narrativa sicuramente dannosa. Nel diritto processuale esistono altri atti,  e, in questo caso, uno dei più rilevanti è "l'atto garantito". Per chi sconosce la materia non significa che si tratti di un atto che "garantisce" la pena o l'arresto di un indagato ma consiste in un atto di indagine compiuto dal pubblico ministero, al quale il difensore dell'indagato ha il diritto di assistere. Anche se la prima reazione è di indignazione, gli accadimenti impongono di togliere ogni dubbio sulla corretta applicazione delle procedure, proprio per la massima tutela di chi ha operato. Impone di chiudere in anticipo la bocca di qualcuno che, in cattiva fede, strumentalizzando a sua volta, possa affermare che il rapinatore caduto sia il risultato di un regolamento di conti tra noi “sbirri“ e i delinquenti. Cosa si potrebbe fare per cambiare la narrativa e non lasciare soli i Colleghi che si ritrovano indagati, sotto un peso psicologico, economico e successivamente disciplinare, anche questo spesso ingiustificamente “dovuto”?

 

Se è vero che il codice di procedura penale prevede l'iscrizione nel registro degli indagati quando ci siano notizie di reato, anche per garantire l'acquisizione di eventuali atti irripetibili necessari ai diritti difensivi, è rilevante Che la cassazione abbia già stabilito che l'automatismo non può essere automatico perché sono indispensabili indizi oggettivi e specifici. L'iscrizione automatica degli operatori delle forze dell'ordine assumerebbe quindi, secondo la Cassazione, un carattere precauzionale che però espone gli stessi a un trattamento da imputati nonostante comportamenti legittimi. La attribuzione delle parole “atto dovuto” trasformano già da prima delle indagini, mediaticamente, Poliziotti e Carabinieri in colpevoli, ingiustamente.

 

C'è da aggiungere a questo quadro cosi pesante il peso economico delle vicende. Chi deve difendersi dalle imputazioni deve sostenere delle spese notevoli a suo carico; il famoso decreto sicurezza assicura una somma fissa sia nel totale  (860mila euro) che per ogni fase del procedimento (10mila euro) ma è chiara l'insufficienza delle risorse perché è risaputo come già solo gli accertamenti tecnici, necessari a difendersi, prosciugano rapidamente queste somme. Infatti non cessano le organizzazioni di collette, anche dei sindacati, in un chiaro e giusto spirito di solidarietà,  per creare extra fondi per non lasciare soli i Colleghi, che si ritrovano, la quasi totalità delle volte, illegittimamente “imputati”.

Poi non bisogna dimenticare l'effetto psicologico di chi deve sopportare la situazione (che spesso diventa una gogna) e la chiara influenza sugli aspetti operativi dei raparti territoriali che cominciano a chiedersi se vale la pena di essere così proattivi, se non conviene rallentare e/o magari volgere lo sguardo altrove (tranquilli, ipotesi impossibile per chi veste una divisa con passione e senso altruistico).

 

Rimane e cresce però la delusione per questa deriva (anche linguistica, mediatica)  che responsabilizza chi serve lo Stato e tutela chi si comporta illegalmente. Per il MOSAC chi veste una Divisa e opera per conto dello Stato e della Costituzione non può rimanere solo e sostenere le conseguenze psicologiche, economiche, per aver difeso gli Ultimi, per aver provato a tutelare la Vita, la serenità e la legalità nelle Comunità che serviamo ogni giorno.

 

Attenzione, non deve diventare una guerra alla magistratura e il MOSAC non chiede leggi speciali per le Forze di Polizia; sarebbe un errore che creerebbe derive pericolose e non necessarie, cadendo scioccamente nel baratro delle strumentalizzazioni politiche. L'iscrizione nel registro degli imputati  non deve continuare ad essere automatica ma deve seguire un processo di verifica attento e soprattutto “veloce”, che verifichi reali elementi oggettivi di colpa, per garantire una giusta serenità in chi opera e nell'azione di tutti gli operatori della sicurezza, che ogni giorno devono affrontare i rischi della loro difficile professione. Anche la tutela economica deve essere totale e non parziale, da subito, a carico dello Stato (provate a fare il calcolo di quante poche fasi e casi  possono coprire gli stanziamenti previsti dal “decreto sicurezza”).

 

La politica deve assumersi la responsabilità di cambiare le leggi e procedure non per sminuire la necessaria indipendenza della Magistratura ma per fornire gli strumenti normativi per aiutare il nostro lavoro, fattivamente, non a parole. Incontri i sindacati, tutti, e accetti di valutare le nostre proposte, per giungere a soluzioni partecipate che rispecchino le vere esigenze e i sacrifici delle Donne e degli Uomini delle Forze dell'Ordine.

 

Cosi come è inutile la strumentalizzazione sui Carabinieri e Poliziotti 50/60enni ancora per strada (che lo fanno anche per ragioni economiche, per dare qualche possibilità economica in più alle proprie famiglie; magari si potrebbe applicare un aumento automatico biennale dei salari, come quello goduto dai dirigenti anche senza progressioni nei gradi) o quella relativa alla mancanza di operatori delle forze dell’ordine (sicuramente non con richiami con la gente che vorrebbe andare in pensione). Ricordo che proprio a L’Aquila, al consiglio comunale, qualche anno fa avevo richiamato sindacalmente l’attenzione sul buco enorme in termini numerici che ci sarà nel biennio 2025/2026 nella provincia, segnalazione puntualmente “premiata” da una punizione da parte  dei nostri magnifici e attenti dirigenti (problematica risollevata sia dai sindacati di Polizia che da consiglieri comunali aquilani proprio in questi giorni).

 

Per concludere, ma rimarrebbero tanti aspetti da approfondire, il MOSAC, Sindacato Autonomo dei Carabinieri, valuterà ogni azione seria e concreta in ogni sede, per salvaguardare la giustizia e tutela di chi ha operato ed è a disposizioni di tutte le parti civili per risolvere, Insieme, Sempre.