Recentemente è stato pubblicato il saggio "Umanamente insostenibile. Il capitalismo nuoce gravemente ai sapiens" (2025, Meltemi Editore) di Luigi D'Elia e Nora Sophie Nicolaus.
Gli autori di questo pregevole volume si ergono a lucidi interpreti delle complesse dinamiche che innervano l’esistenza umana nell’era capitalistica, elevando la riflessione critica a livelli di straordinaria ampiezza.
Con acume analitico e profondità speculativa, essi svelano le intrinseche contraddizioni, le disfunzionalità, i limiti e le molteplici vulnerabilità di un sistema economico che, lungi dal promuovere il benessere umano, sembra averne minato le fondamenta stesse, conducendo l’individuo verso una crisi antropologica di proporzioni storiche.
L'indagine, condotta con rigore metodologico e interdisciplinarità, intreccia antropologia evoluzionistica, sociologia critica e psicologia sociale, offrendo un affresco intenso, quanto inquietante della condizione umana contemporanea. Quest’ultima appare sospesa tra un benessere materiale, sempre più maldistribuito e concepito prevalentemente nella sua accezione economica, a scapito delle dimensioni sociali e psichiche e un disagio esistenziale che serpeggia sotterraneo, alimentato dalla dicotomia tra la promessa di un progresso illimitato e la realtà di una crisi di senso sempre più pervasiva.
Il capitalismo, nella sua essenza di sistema socio-economico fondato sulla crescita illimitata e sullo sfruttamento intensivo tanto delle risorse ambientali, quanto della forza lavoro umana, impone alla specie homo sapiens - alienata dalla sua stessa essenza - richieste che trascendono da tempo le sue capacità di appagamento.
Gli autori, per il tramite di una prosa raffinata e al contempo intransigente, si addentrano nel cuore oscuro del rapporto controverso tra la nostra specie e questo sistema economico dominante, che ha plasmato il mondo moderno.
Il capitalismo, pur avendo generato ricchezza, promosso l’efficienza economica attraverso la libera concorrenza e la spinta al profitto, favorito la varietà dell’offerta di beni e servizi, il progresso tecnologico e, di conseguenza, una crescita economica tendenzialmente elevata nel lungo periodo, incoerentemente, ha condotto ad una sorta di espropriazione dell’uomo da se stesso, dando origine ad un cortocircuito con la dimensione più autentica ed intima della natura umana.
In termini pratici, si tratta di un sistema che, nella sua logica di accumulazione incessante, non solo depaupera l’oikos attraverso lo sfruttamento delle risorse naturali e l’inquinamento, ma esercita una profonda azione biopolitica - di foucaultiana memoria - sulla struttura bio-psico-sociale degli esseri umani. Tale incidenza si manifesta per mezzo dell’alienazione dal lavoro, la mercificazione delle relazioni sociali e la creazione di un ethos culturale che promuove l’individualismo competitivo/possessivo e il consumo acritico. Questi processi, a loro volta, generano stress, ansia, depressione e altre disfunzioni psichiche che compromettono il benessere individuale e collettivo, minando la capacità dell’individuo di abitare in modo sostenibile il pianeta e di affrontare le sfide epocali del cambiamento climatico, della perdita della biodiversità, della lotta alle disuguaglianze sociali e della transizione ecologica.
La natura umana, come sottolineava Aristotele nella sua "Etica Nicomachea", anela alla felicità (eudaimonia), intesa come realizzazione di sé e fioritura delle proprie potenzialità e capacità, attraverso la virtù etica e la ricerca del bene comune.
Elementi valoriali che le logiche competitive e individualistiche del capitalismo - sempre più orientato verso la reificazione delle relazioni sociali - sembrano voler disgregare inesorabilmente, guidate unicamente dalle dinamiche di massimizzazione del profitto e del consumo.
Infatti, la facoltà di ideare e modellare realtà alternative, attraverso la capacità di immaginazione e creazione, connaturata alla specie umana, si rivela tanto strumento di emancipazione, quanto fonte di pericolo esistenziale. Pertanto, la dialettica tra la potenza creativa e la sua capacità distruttiva va a definire la condizione umana, sospesa tra la realizzazione del sé e la sua possibile autodistruzione. Paradossalmente, l’immaginazione - la più grande risorsa ad appannaggio esclusivo dell’homo sapiens - si configura come la nostra più grande minaccia, capace di condurci tanto verso l’utopia, quanto verso la distopia.
D’altra parte, la condizione umana è intrinsecamente contraddittoria in quanto la nostra capacità di trascendere la realtà attraverso la creazione è contemporaneamente ciò che rende l’individuo vulnerabile alla sua stessa ingegnosità.
D'Elia e Nicolaus, forti di una consolidata base scientifica, ci guidano in un viaggio attraverso la storia evolutiva della nostra specie, mettendo in luce come i nostri bisogni fondamentali di connessione sociale, cooperazione e ricerca di significato siano stati progressivamente sacrificati sull'altare della performance, dell'efficienza e del consumo.
Un sistema che ci vuole sempre più "macchine da lavoro", con una ricaduta negativa in termini di benessere psicofisico e relazionale.
Come scriveva Erich Fromm in "Avere o Essere?", il capitalismo moderno ha portato a una estraniazione dell'uomo dal proprio lavoro, dalla sua vera natura, dai propri simili e, infine, da se stesso, riducendolo ad un ingranaggio di un meccanismo produttivo frustrante, finanche disumanizzante.
Il saggio “Umanamente insostenibile” esplora anche le sfide inedite che l'umanità si trova ad affrontare nell'era della digitalizzazione e della virtualizzazione.
L'immersione in mondi virtuali, se da un lato apre nuove opportunità di comunicazione, di interconnessione e di espressione, dall'altro rischia di allontanare l'individuo dalla realtà concreta, dando origine a nuove forme di solitudine, dipendenza e disorientamento.
Un fenomeno che il filosofo coreano Byung-Chul Han ha definito "la società della performance", in cui l'uomo è costantemente sotto pressione per raggiungere standard irrealistici di successo e di produttività capaci di suscitare un senso di vuoto esistenziale e di inadeguatezza.
Un elemento centrale del testo è il confronto tra due antitetici modelli di realizzazione personale: il self-made man americano e l'ikigai giapponese. Il primo incarna l'ideale del successo individuale, raggiunto attraverso le dinamiche competitive e l'affermazione di sé.
Un modello che, secondo gli autori, può generare stress, ansia ed isolamento sociale. Il secondo, invece, promuove un approccio più equilibrato, dinamico e integrato, in cui la realizzazione personale è strettamente legata al contributo che si offre alla comunità e al proprio ambiente di riferimento.
L'ikigai, in altri termini, ci invita a trovare il nostro "scopo di vita", qualcosa che ci appassioni e che, al contempo, sia utile al prossimo. Un concetto che richiama la "ricerca di significato" di Viktor Frankl, il quale, nel suo libro "L'uomo alla ricerca di senso", sottolineava l'importanza di trovare uno scopo nella vita, al fine di superare le difficoltà e gli ostacoli e dare un senso all'esistenza.
In conclusione, il saggio di D'Elia e Nicolaus è un'opera ambiziosa e originale, un’esaustiva disamina che ci invita a riflettere criticamente sul nostro modo di vivere, ma anche ad interrogarci sul tipo di futuro che desideriamo costruire.
Un futuro in cui - come auspicano gli autori - l'essere umano possa vedere riconosciuti i suoi bisogni imprescindibili di incontro/confronto dialettico con l'altro. Ai fini del riconoscimento del valore intrinseco dell’essere vivente e dell’ecosistema nel suo complesso, sarebbe fondamentale promuovere un cambiamento radicale di paradigma nelle narrazioni culturali dominanti, transitando da un’enfasi sulla competizione individualistica e l’isolamento atomistico verso una narrazione rizomatica che celebri la cooperazione simbiotica e l’empatia intersoggettiva, all’interno di una struttura sociale in grado di svilupparsi in modo orizzontale e connesso.
Quella che si tenta di prefigurare è una condizione sociale in cui il capitalismo, spogliato della sua attuale veste autotelica, possa tramutarsi in uno strumento flessibile e versatile al servizio dell’umanità. Quindi, un mezzo, non un fine, per il raggiungimento di quella eudaimonia - di cui ho già fatto cenno - che Aristotele identificava come scopo ultimo dell’agire umano, affinché questo sistema economico possa consentire ad ogni individuo di realizzare una qualità di "vita buona" (euzēn), di benessere esistenziale, di prosperità interiore e spirituale, alla ricerca di un’esistenza piena di significato.
Sostanzialmente, una prospettiva in cui l'homo sapiens possa finalmente realizzare il suo potenziale di umanità, liberandosi dalle catene di un sistema economico che lo vuole ridurre a mera "risorsa umana".
In questa visione rinnovata, il capitalismo non sarebbe più un Moloch divoratore di risorse e generatore di disuguaglianze sociali, bensì un alleato nella costruzione di una società più giusta ed equa. Un sistema economico-sociale in grado di creare ricchezza non per l’arricchimento di pochi, ma per il benessere collettivo. In definitiva, un capitalismo illuminato, consapevole del proprio ruolo nella costruzione di un futuro sostenibile e, possibilmente, solidale per l’intera umanità.
BIOGRAFIA
- Luigi D’Elia è psicologo psicoterapeuta, ideatore del portale non-profit di accessibilità sociale “Psicoterapia Aperta”. Tra le sue recenti pubblicazioni: La funzione sociale dello psicoterapeuta (2020); L’
- Nora Sophie Nicolaus è sociologa dei processi culturali. Laureata all’Accademia di Belle Arti di Brera, si occupa di pubbliche relazioni, comunicazione culturale e digital marketing.
Dott.ssa Daniela Cecchini
(Giornalista e Critico letterario)
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