POZZUOLI - Secondo appuntamento, domenica 13 luglio, per la XIV edizione di “Teatro alla Deriva”, rassegna ideata da Ernesto Colutta e diretta, per il tredicesimo anno consecutivo, da Giovanni Meola, che quest'anno dalla zattera collocata al centro del laghetto delle Stufe di Nerone si è trasferita nello scenario rurale del Giardino dell'Orco, con il Lago d'Averno a fare da incantevole sfondo. Henna-Teatro ha presentato “Francesca da Rimini – Un disastro comico”, riscrittura (da Antonio Petito) firmata da Francesco Rivieccio, con la drammaturgia scenica e la regia di Vittorio Passaro. Entrambi protagonisti in scena, insieme a Domenico Pinelli e Francesco Romano. Una compagnia teatrale bresciana dovrebbe rappresentare la tragedia “Francesca da Rimini” di Gabriele d’Annunzio, ispirata al celeberrimo episodio del V canto dell’Inferno di Dante. Tuttavia, una tresca amorosa della prima attrice scatena una furia omicida (sulla falsariga di quella di Gianciotto), che manda a monte lo spettacolo. Ma ecco che un eccentrico capocomico e un maldestro suggeritore, pur di non rimborsare gli spettatori, dopo aver tentato invano di coinvolgere attori realmente presenti tra il pubblico, riuscendo infine a reclutare Domenico Pinelli e il terzo assistente alla regia della compagnia, tentano un'improbabile messa in scena dell'opera. Ne scaturisce un disastro comico in piena regola.

Il perno della storia, che esplode qui in una parodia grottesca, sarebbe l'amore segreto, infiammato dalla lettura della storia di Lancillotto e Ginevra, di Francesca da Polenta (meglio nota come Francesca da Rimini perché «ha preso il cognome della madre») per il cognato Paolo Malatesta. L'amore, scoperto dal perfido Malatestino, viene rivelato senza mezzi termini al marito di lei, Gianciotto (ovvero Giovanni lo Sciancato), che, tradito, arriva ad ammazzare Francesca. Ma, dramma nel dramma, muore di fatto l'attore che la impersona, perché l'arma utilizzata è tragicamente vera. 

Se la parte iniziale della pièce risulta poco attrattiva con un ritmo lento e battute non sempre incisive (a mio avviso sarebbe opportuna una rivisitazione del testo), lo spettacolo decolla nella seconda parte: entrando nel vivo della farsa, con l'ingresso in scena degli attori Pinelli e Romano, si viene a creare un quartetto in perfetta sintonia che, in una girandola di fraintendimenti dovuti a storpiature semantiche e lessicali, a loro volta abilmente sostenute dalle inflessioni dialettali del napoletano, dà luogo ad uscite ad effetto, in grado di strappare risate anche allo spettatore più riluttante. Le paronomasie equivoche come torrione/torrone, la reiterazione in ogni contesto, anche quelli più inopportuni, della medesima battuta, scandita con affettata dizione («Buonasera!»), i continui doppi sensi, che si cerca invano di censurare, la sovrapposizione pirandelliana dei piani finzione/realtà innescano inevitabilmente una divertita reazione del pubblico, nonostante alla fine si consumi una disgrazia che riconduce, almeno formalmente, il divertissement entro i confini della tragicommedia. Da apprezzare inoltre la capacità degli attori di improvvisare con naturalezza anche di fronte a imprevisti, segno di grande intesa e di una sicura padronanza scenica.

Il terzo appuntamento della rassegna è in programma domenica 20 luglio con “Caivano dreamin'”, scritto e diretto da Fulvio Sacco, che sarà anche in scena con Christian Giroso.

Foto: Davide Russo