Al
di sopra di ogni Dio, laico o cristiano, oltre ogni culto, oltre ogni credo,
oltre ogni ragionevole limite del ponderabile o irrazionale speranza del
desiderabile, oltre il mare, oltre pure il cielo, c’è un destino, sempre
imprevedibilmente sorprendente, un destino, che oggi più che mai passa tra i
vicoli di una città, nelle sue case, tra l’odore del ragù sul fuoco e i
marciapiedi bagnati, tra i fili che stendono sui balconi l’azzurro e lo
innalzano al cielo, tra le bandiere, i vessilli, le magliette e i fumogeni. Sulle
auto, dal centro o dai paesi vicini, da questa dimensione o da quella del
mondo, nel suono dei clacson, delle trombette e dei fuochi d’artificio che
scardinano la notte e sperano di arrivare ad esultare insieme ad un 10 felice,
da lassù.
In verità questo era un destino, che nessuno a Napoli e dintorni, credeva di avere tra le mani fino a qualche tempo fa e che invece ora si vede addosso, cucito, sotto forma di scudetto sul petto, ancora una volta. Impensabile storia della sorte eh, figlia di Partenope, chi l’avrebbe mai detto, dopo i soli 53 punti raccolti nello scorso campionato, con 3 allenatori cambiati, un decimo posto, uno spogliatoio spaccato e tanti, troppi malumori, che si sommavano a delusioni e brutte figure. Chi l’avrebbe mai pensato dopo aver visto andare via senza pentirsene tre degli eroi che ti avevano portata sul tetto d’Italia nemmeno due anni fa (Osimhen. Zielinski e Kvaratskhelia). Chi lo poteva pronosticare, alla luce dei nuovi acquisti, più o meno d’esperienza, che invece poi hanno dimostrato di sapersi calare nella situazione prendendoti per mano (Tra tutti Buongiorno, Gilmour, Neres, Lukaku e soprattutto McTominay). Sei rinata, nonostante tutto, dopo il pesante iniziale 3-0 a Verona, dopo quello in casa con l’Atalanta, dopo il doppio passo falso con la Lazio, ti sei curata da sola le ferite o ti sei fatta aiutare, dal condottiero che meritavi, l’infallibile e pur incontentabile, Antonio Conte. Lui, ti ha fatto trovare la forza anche quando non ne avevi, ha acceso il fuoco negli occhi dei tuoi uomini, li ha uniti, li ha fatti lottare l’uno per l’altro anche quando il peso della pressione mediatica era insostenibile, al di là dei tatticismi, al di là dei moduli, al di là degli schemi. Oggettivamente, in questa Serie A non si è visto il Napoli migliore di sempre, quello più brillante e nemmeno quello più forte, non è stato il Napoli più emozionante o quello più esaltante, non è stato quello spettacolare dominatore di due anni fa, ma è stato un Napoli di rabbia, di reazione, di anima, di cuore, come cantava tutto il Maradona, che ci ha creduto, che è stato spinto dalla sua gente e l’ha voluto più di chiunque altro (negli ultimi 10 anni questo è lo scudetto assegnato con il minor numero di punti e gol fatti).
L’ha voluto anche quando sembrava completamente sfumato, dopo il disastroso Febbraio (4 pareggi e 1 sconfitta in un mese) e il sorpasso dell’Inter. L’ha voluto, soprattutto quando ha preso consapevolezza di un vento così fragile e mutevole da poter cambiare rotta fino alla fine, il vento del destino, quello che ha spinto la mezza rovesciata di Orsolini all’angolino, al 94’ minuto di un chiuso Bologna-Inter riaccendendo il fuoco, o quello, che ha visto il destro di Soulè travolgere la stessa Inter a casa sua alimentando la fiamma, o infine, quello che ha soffiato sul pallone diretto alla mano di Bisseck, causando il rigore del pareggio al cardiopalma, nel recupero della penultima giornata, l’incendio. Un destino, insomma, che non riusciva a farsi capire, che per quanto mutevole ha saputo, sul finale, trovare un colore, un padrone in chi si è preparato per settimane, in chi ha saputo aspettare un giorno, in cui passa una vita, un momento che vale un’esistenza, un irripetibile circostanza di un cammino difficile, nel calcio dei potenti, col rancore e l’insofferenza per i separatismi e le differenze, circoscrivendo e fermando il tempo in 90’ spettacolari ultimi minuti.
È stato tripudio, il
fischio finale, un urlo tenuto in gola per giorni, un riscatto, gioia pura,
vera, incondizionata, è stata parvenza d’infinito, un infinito flusso azzurro,
quello presente allo stadio (circa 54mila paganti al Maradona con apertura
anche del settore ospiti per i tifosi di casa), quello che si è riversato nelle
strade e che ancora lo farà ( più di 50 comuni campani hanno impiantato
maxi-schermi per guardare la partita, circa un milione di napoletani hanno
girato in cortei festeggiando per l’intera notte e sono stati organizzati già i
festeggiamenti con i pullman scoperti per l’inizio della prossima settimana).
Perché oggi, domani, ovunque battesse uno di quei quarantacinque milioni di cuori
napoletani, di origine o derivazione, d’inclusività e incontro, di sorrisi e
commozione, di storia, c’è un destino, che si tinge d’azzurro e si diverte a
scrivere un numero 4, su un tricolore che sventola. Il Napoli è Campione
d’Italia.
A cura di Antonio Spiezia
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